STUDIO MISSION COMMAND-Centro Studi Esercito
Ricerca in itinere: marzo 2019 – aprile 2020
(di prevista presentazione pubblica)
L’azione di comando può essere esercitata con modalità differenti. Ciò dipende da numerosi fattori tra cui l’ambiente culturale che ha formato i comandanti, le norme che regolano i processi di lavoro e le contingenze operative. In particolare, dallo stile di comando adottato può discendere anche il grado di iniziativa conferito ai subordinati, il quale in molti casi costituisce fattore di successo delle operazioni militari.
La filosofia Mission Command tende a definire il giusto rapporto tra autorità di comando e libertà d’azione dei sottoposti, studiando le condizioni a contorno che ne rendono possibile l’attuazione. Trova applicazione in particolare quando gli spazi dell’azione si ampliano e le forze sul campo sono diradate, il che oggi costituisce la norma. Tuttavia, la sua attuazione pratica presuppone una temperie culturale molto particolare, come emerge dall’analisi sociologica del concetto di Auftragstaktik (Führen mit Auftrag), che ne costituisce anticipazione storica da parte dell’esercito tedesco, sin dal XIX secolo. Peraltro, una particolare evoluzione nel campo della tecnica sembra orientare le configurazioni dei sistemi di comando e controllo in senso opposto, con la riduzione dei livelli gerarchici e il contemporaneo accentramento del potere decisionale al vertice. Ciò appare evidente nelle missioni condotte con velivoli privi di pilota a bordo.
Partendo da queste considerazioni, si è costituito un gruppo di studio che ha affrontato il tema da differenti punti di vista, generando così una trattazione che nella sua sinteticità riesce altresì a essere esauriente.
In particolare, secondo un’angolazione storico-militare, è stata presa in considerazione la teoria e la pratica applicazione dell’Auftagstaktik nelle campagne militari dell’esercito germanico nel XIX e XX secolo. Sono così emersi successi, insuccessi e criticità a seconda che prevalesse da parte dei comandanti in campo un’intelligenza disciplinata oppure un’iniziativa sospinta dall’individualismo. Nondimeno, tale innovativa modalità di guidare le truppe è stata studiata in relazione all’evoluzione tecnologica: prima la ferrovia, quindi le comunicazioni via etere e poi la meccanizzazione delle forze.
Ma nell’attualità contraddistinta da soluzioni tecnologiche innovative che senso assume questa filosofia di comando? A questa domanda si è cercata una risposta muovendo dal concetto basilare che in combattimento la celerità dei processi e quindi della manovra va sempre ricercata e che l’iniziativa sull’avversario è un imprescindibile fattore di successo. In tale prospettiva è apparsa dirimente la teoria dell’OODA Loop (Osservazione - Orientamento - Decisione - Azione), concepita dal Colonnello dell’aeronautica degli Stati Uniti John Richard Boyd. Ma le due visioni, quella Mission Command e quella OODA Loop possono trovare una sintesi? E tale sintesi può ispirare l’evoluzione della dottrina del Comando e Controllo?
E ancora, come non mettere al centro dell’analisi le “operazioni diverse dalla guerra” e in particolare il Peacekeeping. Quindi lo studio non poteva esimersi dal rispondere alla domanda: “ma nelle operazioni correnti in cui l’sercito è impegnato la filosofia del Mission Command trova applicazione pratica”? La risposta è pervenuta dall’esperienza nei Teatri Operativi, con la narrazione di cronache di vita vissuta da parte dei comandanti che più hanno sostenuto la prova sul campo.
Se poi il Mission Command, come nuova formulazione del concetto di Auftragstaktik, ha origine nella cultura continentale, nondimeno gli statunitensi hanno elaborato sul tema un considerevole corpo dottrinale. Quindi non poteva mancare un contributo da quel punto di vista, basato su concrete esperienze, poi accuratamente esaminate e prese a riferimento per la ricerca scientifica da parte di centri di studio all’avanguardia. E da tali centri studi perverrà un’autorevole lettura del fenomeno, ben contestualizzata nelle sfide proprie dello Strumento Militare Terrestre, attuali e prevedibili in futuro.
Procedendo in questa direzione però si constatava che questo Concetto, descritto ora nella sua evoluzione, anche con riferimento alla fenomenologia che nel tempo ha generato, l’Esercito Italiano lo aveva sperimentato – a proprio grande danno - nella battaglia dell’ottobre 1917, quella di Caporetto, in cui le forze germaniche fecero ampia applicazione dell’Auftragtaktik. E ciò nonostante, solo ora esso assumerebbe interesse per noi. Questo deve far riflettere sulle resistenze che si palesano nel momento in cui lo si vorrebbe adottare come buona prassi. Quindi, interrogandosi su tali resistenze e emersa la necessità di inquadrare la Cultura militare nostrana all’interno di uno schema cognitivo che fosse dirimente di ogni dinamica, anche quelle più sottili. Si è provveduto così ad attingere al paradigma delle Culture d’impresa, ma rielaborandone i concetti portanti per non cadere nell’errore dell’eccessiva semplificazione, perché - è evidente – quella militare è una cultura molto ricca di complessità rispetto a quella aziendale. Così facendo si è pervenuti all’elaborazione dell’innovativo paradigma della Cultura organizzativa militare quale chiave di lettura della realtà militare, in tutte le sue manifestazioni. Peraltro appariva essenziale, nel corso dell’analisi, un momento di verifica con chi nel campo delle Culture d’impresa esperisce ricerca e conduce la formazione dei futuri manager, il cui contributo è poi risultato corroborante per la concettualizzazione cui si è pervenuti, motivando viepiù la necessità di adottarla per inquadrare i fenomeni che attengono al mondo militare, in senso lato e, segnatamente, per valutare la convenienza di una più generalizzata adozione del Mission Command.
Procedendo in questa maniera si è anche destato l’interesse dell’Ufficio di Psichiatria e Psicologia Militare dello Stato Maggiore dell’Esercito, che ha ritenuto utile approfondire sul campo la relazione tra procedure orientate al Mission Command e Cultura organizzativa militare del nostro Esercito, anche per individuare il grado di conoscenza di tale filosofia di comando, e in tale prospettiva è stata avviata una campagna di ricerca che vedrà il coinvolgimento di un campione di seicento militari in servizio e l’impiego degli specialisti militari che operano presso i Corpi e gli Enti territoriali.
Quindi, il cerchio è andato chiudendosi sulle modalità di lavoro all’interno dei Posti Comando, secondo le procedure che seguono gli schemi del Processo di Pianificazione delle Grandi Unità per ricercare in tali schematismi congruenze e eventuali incongruenze con ogni forma di comando decentralizzato, orientato alla missione.
La conclusione infine trova sintesi nella definizione di alcune condizioni necessarie, da generare, per l’adozione del Mission Command quale buona pratica, anche nell’attuale contesto culturale che tende ad accentrare la responsabilità nei Comandanti di Corpo, riducendo quella dei livelli subordinati, a scapito di ogni forma di decentramento della decisione. Ma questi sono condizionamenti esogeni, quindi non controllabili dall’interno.
I lavori sono finalizzati alla produzione di un paper, destinato allo Stato Maggiore dell’Esercito, quale contributo di pensiero del Centro Studi Esercito. Durante la fase preparatoria è anche prevista una presentazione pubblica mediante tavola rotonda. Sarà altresì possibile, ad attività conclusa, effettuare ulteriori presentazioni anche per attivare il dibattito nell’ambito della Forza Armata sul paradigma della Cultura organizzativa militare, forse utile da assumere come schema concettuale per comprendere a fondo la realtà militare e a sostenere con cognizione di causa le sfide che già si rivelano all’orizzonte.